Nel 1787, dopo aver visitato i Campi Flegrei, Goethe scriveva: «Sotto il cielo più puro, il terreno più infido. Rovine d’un’opulenza appena credibile, tristi, maledette. Acque bollenti, zolfo, grotte esalanti vapori, montagne di scoria ribelli ad ogni vegetazione, lande deserte e malinconiche, ma alla fine una vegetazione lussureggiante, che s’insinua da per tutto dove appena è possibile, che si solleva sopra tutte le cose morte in riva ai laghi e ai ruscelli e arriva fino a conquistare la più superba selva di querce sulle pareti d’un cratere spento».
Così come lo scrittore tedesco, tanti i viaggiatori del Grand Tour che hanno dato vita ad una copiosa letteratura sui Campi Flegrei, imprimendo l’immagine di questi unici ed affascinanti luoghi in cartografie, vedute ed iconografie.
I Campi Flegrei (dal greco Φλεγραῖ, ardente) sono un apparato vulcanico che si estende nell’area occidentale della città di Napoli, da Bagnoli a Capo Miseno. Il paesaggio, con le sue alture ed i suoi crateri, è scenario di fenomeni bradisismici ed eruzioni vulcaniche ma, al contempo, sede di bagni e terme che restituiscono quella che Salvatore Di Liello definisce «l’immagine di uno dei più celebri theatrum della memoria classica, dove l’incanto del paesaggio e le mirabilia della natura generavano un’attrazione del tutto speciale rispetto a quelli di altri, pur famosi, luoghi topici dell’antico».
Concentrandosi sulla piana di Bagnoli, oggetto della presente sezione della mostra, al fine di comprenderne l’evoluzione storico-urbana, fondamentali sono l’analisi, lo studio e l’esposizione dei rilievi cartografici più emblematici.
Già nel 1538, in un’incisione compare una vasta piana, indicata con il nome di “Bagni”, in corrispondenza dell’attuale Bagnoli. Tale incisione, firmata con il monogramma G.A. ed attribuita al «Maestro del Trabocchetto» o «del Tribolo», rappresenta l’eruzione del vicino Monte Nuovo avvenuta il 29 settembre di quello stesso anno e, attraverso una visione pseudo-prospettica, mette in risalto i rilievi montuosi del Vesuvio e del Monte Barbaro nonché la complessa articolazione dell’allora centro urbano di Napoli. Seppure non del tutto attendibile topograficamente, l’immagine restituisce indubbiamente una prima idea della conformazione territoriale dell’area a ridosso del golfo puteolano.
Il primo vero modello cartografico dell’area Flegrea risale invece al 1584, con la Carta dei Campi Flegrei firmata dal noto incisore e disegnatore Mario Cartaro (1540-1620) che diventerà ispirazione di molte successive rappresentazioni del luogo come quelle di Pietro Bertelli (Sito et antichità della città di Pozzuolo, 1599), Giacomo Lauro (Topographia Puteolorum, 1616) e Nicola De Fer (Les Merveilles de Pozzoli ou Pozzol Cume et Baia ou Bayes dan le voisinage de Naples, 1700-1705). La tavola inquadra l’area da Posillipo, ad Oriente, fino all’Acropoli cumana ad Occidente, vista dall’alto dei Camaldoli. Peculiare l’impianto tridimensionale del paesaggio arricchito dalla rappresentazione delle vestigia romane e dei monumenti archeologici, alternati con campi coltivati, boschi, laghi, colline e vulcani.
Nel 1700 un primo approccio scientifico alla cartografia è da attribuire a Paolo Petrini che, nell’incisione su rame Campagna Felice o Terra di Lavoro Meridionale, seppur fuori scala, per la prima volta delinea il tracciato viario di tutto l’arco del golfo da Capo Miseno a Capo Torre.
Secondo Alfredo Buccaro, «l’interessante e graduale passaggio dalle rappresentazioni a volo d’uccello alla moderna cartografia scientifica, nata intorno alla metà del Settecento, fino ai rilevamenti aerofotogrammetrici diffusi a partire dagli inizi del XX secolo, costituisce un fenomeno di particolare importanza nella storia dell’iconografia urbana».
Relativamente all’area di Bagnoli, esemplari in tal senso sono le cartografie di Weber e Gaultier (Cratere Marittimo, O Parte Del Golfo Di Napoli, 1754), di Giovanni Carafa, Duca di Noja (Mappa topografica della città di Napoli e de’ suoi contorni, 1775), di La Vega, Drouet e Peerrie (Carte du golfe de Pouzzoles avec une partie des Champs Phlégréens dans la terre de Labour, 1778-1780) e di Rizzi Zannoni e Guerra (Topografia dell’Agro Napoletano, 1793). In queste rappresentazioni, infatti, si assiste ad un vero e proprio rilevamento metrico del territorio attraverso principii che dall’astronomia giungono fino alla geometria descrittiva. Ma, al di là del metodo, l’immagine restituita della piana di Bagnoli, che perdura fino al XIX secolo nelle cartografie del Reale Officio Topografico, è ancora quella di una terra prevalentemente rurale. A seguito della legge del Risorgimento economico della città di Napoli (1904), come emerge dalla Cartografia 1:25.000 della provincia di Napoli dell’Istituto Geografico Militare (1907), si assiste alla trasformazione di quest’area a seguito dell’insediamento dell’impianto siderurgico Ilva Italsider (1906). Pochi anni dopo altre fabbriche si localizzarono nell’area (per esempio Montecatini, Società Cementiere Litoranee ed Eternit) generando un vero e proprio nucleo industriale. L’Istituto Geografico Militare, monitorando il territorio dal 1907 al 1956, ha svolto un ruolo fondamentale nella ricostruzione di tale evoluzione restituendo numerose cartografie che testimoniano le trasformazioni legate al processo di industrializzazione.
Un territorio, dunque, palcoscenico di dinamiche varie che, ancora oggi, cattura l’attenzione di studiosi, progettisti ed enti che mirano a restituire dignità e fascino a quei luoghi in cui, citando ancora Goethe, «chi è vivo continua a viver lieto, […] da uomini civili, partecipi del mondo e della sua vita, ma anche sensibili al monito di un severo destino e pronti alla meditazione».
a cura di Federica Fiorillo e Roberta Ruggiero