Bagnoli nelle vedute tra XVIII e XIX secolo

Le immagini riportate in questa sezione, ad eccezione delle prime tre che risalgono, rispettivamente, al XIII, XVI e XVII secolo e che esorbitano dal genere vedutistico, furono realizzate nei secoli XVIII e XIX e rientrano nella cultura iconografica dei Campi Flegrei, di cui Bagnoli fa parte. Tali opere ci consentono di apprezzare la costituzione di un luogo, contraddistinto per lo più da qualità naturalistiche, prima che lo sviluppo dei mezzi fotografici prendesse il sopravvento e prima che la realizzazione degli stabilimenti industriali intaccasse la sua vocazione naturale.

Com’è noto, i Campi Flegrei divennero una tappa molto importante nella formazione artistica durante il periodo rinascimentale, principalmente per l’interesse rivolto alle vestigia romane disseminate nei territori di Pozzuoli, Baia, Miseno e Cuma, per poi divenire meta di viaggiatori sin dal Seicento, vantando un singolare connubio tra bellezze naturali e resti di architettura antica. Tale interesse si consolidò con l’età dei lumi e grazie all’istituzione del Grand Tour, un periodo durante il quale il vedutismo si caratterizzò per una rappresentazione più oggettiva rispetto alla precedente pittura di paesaggio, grazie ad un approccio culturale di tipo scientifico.

Ma prima del Rinascimento, come riferisce Salvatore Di Liello, già durante il Medioevo la fortuna iconografica dei Campi Flegrei era legata alla natura e, in particolare, alla presenza delle acque termali che, fin dall’antica Roma, attraverso i balnea costituivano un importante motivo di attrazione. Tale tradizione viene ripresa nella miniatura del Codice Angelico (1474) del De Balneis Puteolanis di Pietro Da Eboli attraverso una raffigurazione simbolica che assume l’acqua come elemento fondante. I balnea si riscontrano anche in una tavola preparatoria per la Veduta dei Campi Flegrei di Mario Cartaro (1584), che ci consente di apprezzare l’andamento della linea di costa e alcuni elementi caratteristici di quel territorio, come la via Regia che conduceva a Bagnoli. Poco dopo, la Pianta di Pozzuolo (1630 ca.) del pittore francese Didier Barra, assimilabile più a una carta topografica e nella quale l’area di Bagnoli appare a margine, costituisce un’ulteriore tappa significativa nella storia iconografica dei Campi Flegrei prima dello sviluppo del vedutismo, durante il Settecento.

È da questo momento che comincia a delinearsi il ruolo che il tratto di costa coincidente con il territorio di Bagnoli riveste nelle opere afferenti a questo genere pittorico. A differenza, ad esempio, del golfo di Napoli, molto spesso oggetto di rappresentazioni da mare che ci hanno consegnato splendide vedute, in cui si apprezzano la caratterizzazione costiera e lo sviluppo orografico della città partenopea, la spiaggia di Bagnoli è stata maggiormente assunta quale punto di osservazione privilegiato per le rappresentazioni aventi ad oggetto il golfo di Pozzuoli, un vero e proprio topos vedutistico nella cultura iconografica dei Campi Flegrei. Ciò è testimoniato, in particolare, dalle vedute settecentesche di Juan Ruiz, Tommaso Ruiz, Giuseppe Aloja e Antonio Joli realizzate sull’impronta del dipinto del pittore inglese Gaspar Butler risalente agli anni Trenta del XVIII secolo, in cui viene raffigurata la spiaggia di Bagnoli in primo piano, con una estensione paesaggistica che va da Nisida e l’isolotto del Chiuppino fino alla città di Pozzuoli e al Castello di Baia, con le isole di Procida e Ischia sullo sfondo. Un dipinto che riscuoterà una certa fortuna poiché una simile impostazione sarà ripresa anche da Salvatore Luigi Gentile e Giuseppe Scoppa in due gouache, rispettivamente della prima e seconda metà dell’Ottocento, in cui il punto di vista più arretrato rende visibile la presenza di un tratto murario di confine tra i poderi e poche costruzioni isolate, tra cui emerge, nel dipinto di Gentile, un modesto stabilimento termale. Tuttavia, in questi dipinti, così come nell’incisione di Aloja, non è percepibile la conformazione dell’area di Bagnoli, che si manifesta soltanto attraverso il breve tratto di spiaggia e i pochi elementi appena citati, di cui le masserie immerse nei poderi rappresentano una tipologia d’insediamento molto diffusa nei Campi Flegrei dell’epoca.

Ma prima di questa serie di rappresentazioni, fu Gaspar van Wittel a inaugurare la stagione vedutistica settecentesca dei Campi Flegrei e in particolare di Bagnoli, come si evince da due dipinti risalenti ai primissimi anni del Settecento dove è possibile cogliere non soltanto la conformazione della costa, ma anche quella connotazione agreste che permea l’area di Bagnoli, già caratterizzata da terreni coltivati e poche masserie. La dimensione paesaggistica di questo territorio viene recuperata, nella seconda metà del XVIII secolo, da Pietro Fabris nella Veduta del golfo di Pozzuoli visto da sopra Bagnoli in cui, fermo restando l’oggetto privilegiato della rappresentazione ‒ che si evince dal titolo ‒ l’altezza del punto di osservazione consente una visione completa della piana e il dipinto è impostato secondo una fedeltà rappresentativa coerente con le coeve carte topografiche, come quella celeberrima del Duca di Noja. Una simile impostazione si riscontra nell’incisione, pubblicata dall’editore Gervasi in un album del 1804, eseguita da Vincenzo Aloja su disegno di Luigi Fergola, in cui le aree di Bagnoli e Fuorigrotta ‒ si noti una parte del borgo Castellana in basso a destra ‒, questa volta oggetto principale del dipinto, vengono riprese da Posillipo. Ancora a Pietro Fabris si devono due vedute singolari per la novità del punto di vista, entrambe destinate a illustrare il celebre volume del 1776 di William Hamilton Campi Phlegraei. Observation on the Volcanos of two Sicilies. La prima ‒ tavola XXIV del volume ‒ è ripresa parallelamente alla strada per Pozzuoli e inquadra la piana di Bagnoli in primo piano, escludendo l’isola di Nisida; la seconda, ripresa dal monte San Nicola di Ischia, offre un’immagine del tratto costiero di Bagnoli inserito nel più vasto contesto paesaggistico del golfo di Pozzuoli, con ai piedi l’isolotto del Castello e, in successione, quello di Vivara, l’isola di Procida, Capo Miseno e il monte di Procida. Una riproduzione quasi fedele di quest’ultima veduta fu eseguita da Saverio Della Gatta, per il quale Pietro Fabris costituì un costante punto di riferimento, in una gouache risalente al primo trentennio dell’Ottocento intitolata Il Golfo di Napoli dall’Epomeo. Dello stesso periodo del dipinto di Gentile, Salvatore Fergola, figlio del già citato Luigi, raffigura la piana di Bagnoli in una veduta in cui la verosimiglianza topografica ‒ che si riscontra nella maggior parte delle opere precedenti ‒ sfuma a favore della ricerca di effetti cromatici e delle necessità compositive, come rivela, ad esempio, l’ardita curvatura della linea di costa verso Pozzuoli.

Chiudiamo questa breve rassegna con due opere risalenti alla seconda metà dell’Ottocento e eseguite da due pittori afferenti alla cosiddetta seconda generazione della Scuola di Posillipo. In queste rappresentazioni, l’una di Gonsalvo Carelli, l’altra di Alessandro La Volpe ‒ allievo di Salvatore Fergola ‒ il focus è costituito dall’isola di Nisida la quale, unitamente alla spiaggia di Bagnoli e al contesto circostante, viene trattata con una vena più romantica che, come nei casi suddetti, perde quella connotazione narrativa delle vedute settecentesche.

a cura di Alberto Terminio